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Glossario dei termini "corali"
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Balletto
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Fantasia
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Madrigale
Monodia
Mottetto
Rispetto
Song
Strambotto
Villancico

Balletto

Nel '500 furono chiamati balletti pezzi o suites di pezzi strumentali o vocali (celebri quelli di G.G. Gastoldi) impostati su ritmi di danza.

 


Canto Gregoriano

Canto proprio della liturgia romana su testo preso dalla Sacra Scrittura. Arte musicale raffinata, non popolare, il canto gregoriano è monodico e ripudia gli strumenti. Costituisce un repertorio vasto, eterogeneo, per lo più anonimo, di circa 3000 melodie di epoche, forme, luoghi di origine differenti. La storia del canto gregoriano si può dividere in vari periodi. Un primo periodo riguarda le origini. I primi cristiani, provenendo da regioni culturalmente differenti, concorrono a formare riti e canti con caratteristiche diverse, e la chiesa di Roma, nei primi secoli, essendo legata alle chiese orientali, soprattutto a quelle greche, ne adotta la lingua e probabilmente anche i canti. Quando, verso la fine del IV secolo, essa si dà un rito proprio in latino, poco alla volta si plasma pure un canto proprio, nuovo, anche se con reminiscenze dei tipi di canto giunti dall'Oriente. Perciò a Roma, lungo il V secolo, si va formando un tipo di canto che subisce influssi dalla musica ebraica, greca, bizantina. Tale canto, detto antico romano, è quello che si trasformerà più tardi in canto gregoriano. Nel VII secolo si parla ancora di canto romano. Verso il 753 gli antifonari romani /raccolte di testi letterari per i riti e i canti) passano in Gallia, dove le melodie romane vengono adattate secondo i gusti locali. Sarebbero queste che S. Gregorio Magno, secondo una testimonianza di Giovanni Diacono (sec XI), avrebbe fatto copiare e codificare in un antifonario archetipo, detto Antiphonarium cento. Il nome di canto gregoriano, ad ogni modo, è usato per la prima volta solo alla fine dell'VIII secolo. Il repertorio di questo periodo primitivo viene ritenuto il vero, autentico canto gregoriano e viene detto gallico-romano; ad esso appartengono i canti del proprio della messa (Introito, Graduale, Tractus, Alleluia, Offertorio, Communio) e, probabilmente, le Antifone e i Responsori dell'Ufficio. Nel IX secolo Carlomagno inizia una politica di espansione del canto gregoriano, la quale porta alla lenta eliminazione di altri riti e canti (come il gallicano e il mozarabico). In questo secondo periodo, che giunge fino all'XI secolo, diversi monasteri divengono centri famosi per la diffusione del canto gregoriano (S. Gallo, Einsiedeln, Fulda, Tours, Corbie, Montecassino), si formano i canti dell'ordinario della messa (Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus, Agnus Dei). Alla fine del IX secolo, con la nascita della scrittura musicale neumatica, le melodie, che fino ad allora si tramandavano oralmente, possono essere ricordate con un po' più di precisione e si possono mantenere esenti dalle infiltrazioni dei altre espressioni musicali. Ma dall'XI secolo il canto gregoriano non può evitare di subire i condizionamenti recati dalla musica trovadorica e dalla sorgente pratica polifonica, nella quale si instaura l'uso di impiegare le melodie gregoriane per elaborazioni contrappuntistiche. Dal XVI secolo alla prima metà del XIX si ha un nuovo periodo di decadenza del canto gregoriano. Ora le melodie vengono anche mutilate; ne è un esempio l'Editio Medicea (1614-15) del Graduale, ossia del libro che contiene i canti della messa per tutto l'anno ecclesiastico. In essa i neumi sono interpretati misuratamente, non con la libertà di valore originaria, e i melismi (cioè i lunghi vocalizzi) sono abbreviati. Finalmente, a metà del secolo scorso, i monaci benedettini dell'abbazia di Solesmes iniziano il lavoro di ripristino del canto gregoriano per riportarlo all'integrità originaria. Si studiano, si confrontano i codici più antichi (IX-X secolo), si promuovono una più precisa e stilistica interpretazione delle melodie, nonché una pratica esecutiva consona alla loro semplicità e purezza. Si sente inoltre l'esigenza di far conoscere i codici a tutti gli studiosi. Perciò nel 1889, si comincia a pubblicare la Paléographie musicale, serie di volumi riproducenti in copia fotostatica gli antichi codici.

La teoria del canto gregoriano è basata su un insieme modale di otto scale, che danno origine a quattro modi detti autentici e a quattro plagali, costituiti una quarta sotto gli autentici. Ad ogni modo autentico corrisponde un proprio plagale; essi hanno in comune una nota che funge da base e da conclusione, ed è detta finale. Si hanno così quattro finali, riferibili alle note re, mi, fa, sol. Questa teoria compare nel VIII-IX secolo e ricalca in parte quella bizantina. Circa il ritmo, non si sa quasi nulla in proposito. Tra le varie soluzioni, i benedettini di Solesmes hanno pensato di adottare la teoria del ritmo libero proprio della declamazione, dando ad ogni nota il valore normale della pronuncia di una sillaba.

 

 


Cantor

Nel rito cattolico è l'ecclesiastico che nelle funzioni liturgiche delle cattedrali e delle collegiate ha il compito di intonare i canti; nelle chiese anglicane posteriori alla Riforma è un ecclesiastico (canonico minore o cappellano) che si occupa della parte musicale delle funzioni; nella liturgia ebraica è l'officiante cantore nelle sinagoghe (viene chiamato anche chassan). Nella chiesa luterana, il cantor (o Kantor) è il direttore del coro e delle esecuzioni musicali in genere e, un tempo, anche compositore di cappella.

 


Cantus

Termine con cui, nel XVI secolo, si designò la voce più acuta di un complesso polifonico. È sinonimo di superius e veniva indicato graficamente con l'abbreviazione cantus.

A partire dal XII secolo fu chiamato cantus firmus, nella pratica polifonica, la melodia che, affidata ad una voce, più tardi detta tenor (in quanto la "teneva"), fungeva di base al gioco contrappuntistico delle altre voci, svolgendosi lungo l'intera composizione, dapprima con valori di durata lunghi ed eguali per ciascuna nota, più tardi (soprattutto verso la fine del '400) anche secondo vari artifici ritmici. Il cantus firmus era spesso intonato da strumenti ed era per lo più derivato dal repertorio liturgico, ma fu assunto spesso anche dalla musica profana, com'è il caso della melodia della canzone popolare francese dell' Homme armé, adottata quale cantus firmus di messe da numerosi polifonisti del XV e XVI secolo, fra i quali Dufay, Busnois, Ockeghem, Obrecht, Compère, Despres, De La Rue, Morales, Palestrina, Carissimi.

Cantus planus fu chiamato, a partire dal XIII secolo il canto liturgico vero e proprio, in contrapposizione al canto mensurato e figurato, sviluppato dalla pratica polifonica, ossia al canto misurato secondo valori e corrispondenti figure di durata che fu detto cantus fractus. Il cantus planus ha invece carattere grave, non è regolato da scansioni regolari, ma segue liberamente il ritmo della prosodia.

Esempio di cantus firmus: il cantus firmus gregoriano è affidato al tenor
(G. de Machaull "Deo Gracias" dalla "Messe de Notre-Dame")

Esempio di cantus firmus: il cantus firmus gregoriano è affidato al tenor(G. de Machaull "Deo Gracias" dalla "Messe de Notre-Dame")Esempio di cantus firmus: il cantus firmus gregoriano è affidato al tenor(G. de Machaull "Deo Gracias" dalla "Messe de Notre-Dame")

Esempio di cantus firmus: il cantus firmus gregoriano è affidato al tenor(G. de Machaull "Deo Gracias" dalla "Messe de Notre-Dame")Esempio di cantus firmus: il cantus firmus gregoriano è affidato al tenor(G. de Machaull "Deo Gracias" dalla "Messe de Notre-Dame")

 


Contrappunto

Dal latino punctum contra punctum, ovvero punto contro punto, nota contro nota. L'arte di sovrapporre due o più linee melodiche. Il principio del contrappunto può essere applicato rigorosamente ad intere composizioni (come avvenne in quasi tutta la produzione vocale colta fino alla fine del '500, o in forme strumentali posteriori come il ricercare e la fuga), oppure può essere usato saltuariamente in composizioni prevalentemente interessate agli sviluppi tematici, armonici e ritmici (come la sonata, la sinfonia, il concerto) e talora anche nelle danze strumentali. La nascita del contrappunto è intimamente legata a quella della polifonia. Originariamente ad un canto dato (tenor) in note lunghe veniva sovrapposta un'altra melodia di valori uguali o una melodia melismatica in valori brevi; poi, gradualmente, alla seconda voce se ne aggiunse - sopra e anche sotto il canto dato - una terza, una quarta e così via: di qui la necessità di un’esatta ripartizione dei valori, oltre che di una teoria che regolasse in senso verticale la combinazione dei suoni. Fermo restando di massima, sia nelle composizioni liturgiche sia in quelle profane che la base del contrappunto era un tenor, o melodia data (sacra o profana), le regole che dettavano il rapporto delle altre voci con questa variarono sensibilmente nel corso dei secoli. Dapprima (secolo XII) sembrò prevalere la norma secondo cui le parti dovevano essere - sul tempo che recava l'accento, o forte - in consonanza (di quarta, di quinta, unisono, ottava, meno spesso di terza e sesta) con la parte data, ma non necessariamente tra loro. Nel secolo XIII poi si affermò il principio per cui l'inizio di battuta doveva presentare un accordo consonante (salvo la presenza, sempre possibile, di note con carattere d’appoggiatura), mentre prima e dopo tale punto il movimento delle parti aveva massima libertà. In seguito, con la scuola fiamminga, la regolamentazione del rapporto delle voci tra loro si fece sempre più precisa, fino a giungere con Josquin Despres o poi con Palestrina alle norme auree del contrappunto classico: rigorosa proibizione delle quinte e delle ottave parallele (cioè date di seguito da voci procedenti parallelamente alla distanza misurata da questi intervalli), dissonanza consentite solo secondo formule stabilite con ferrea disciplina, rispetto delle caratteristiche dell'armonia modale, e cioè dell'armonia scaturita dalla struttura dei modi gregoriani.

Durante il XV-XVI secolo il contrappunto fu oggetto di una grande quantità di trattati, che cercavano - sulla scorta di ricerche teoriche e acustiche oltre che dell'esperienza dei compositori - di fissarne le leggi, le quali peraltro non cessarono di modificarsi nella prassi compositiva. Tra i maggiori trattatisti che affrontarono il problema vanno ricordati Tinctoris, Gaffurlo e Adam von Fulda nel '400, Aaron, Petit Coclico, Vicentino, Zarlino, Artusi nel '500, Zacconi nel primo '600.Nell'opera di tali teorici la materia viene disposta per ragioni didattiche, in una successione particolare "per specie": nota contro nota, poi due e quattro note contro una, sincopato, fiorito o florido (dove la melodia o le melodie aggiunte al canto dato presentano valori ritmici diversi), mescolanze (in cui ogni parte aggiunta ha una caratteristica ritmica diversa), e così via. Si venne definendo anche un tipo di contrappunto detto doppio, costituito da due voci entrambe trasponibili ad un determinato intervallo verso l'alto e verso il basso (di solito all'ottava, ma anche a intervalli maggiori), in modo che l'una possa stare indifferentemente sopra o sotto l'altra; il medesimo tipo di contrappunto si dice triplo o quadruplo, se uguali possibilità si danno fra tre o fra quattro voci contemporaneamente. Nel '600 e in seguito il contrappunto fu sottomesso alle leggi dell'armonia tonale e venne applicato in larga misura alla musica strumentale. Dopo un periodo di declino (dalla seconda metà del '700 alla fine dell'800), il contrappunto è tornato in auge all'inizio del '900 presso i compositori atonali, politonali e della scuola dodecafonica di Vienna. Nel campo della trattatistica, limitatamente al contrappunto classico, vanno citate ancora le opere capitali di Fux, G.B. Martini (XVIII secolo) e, nel '900, Jeppesen.

Posizione iniziale dei quattro temi (A, B, C, D) in contrappunto quadruplo all'ottava
del Finale della Sinfonia in Do maggiore numero 41 "Jupiter" di W.A. Mozart

Finale della Sinfonia in Do maggiore numero 41 "Jupiter" di W.A. Mozart

Tre delle 24 possibili combinazioni:

Combinazione dei 4 temi, Finale sinfonia 41 di W.A.Mozart

Combinazione dei 4 temi, Finale sinfonia 41 di W.A.Mozart

Combinazione dei 4 temi, Finale sinfonia 41 di W.A.Mozart

 


Coro

Unione di più voci emesse contemporaneamente. E' pratica esecutiva comune a tutte le civiltà, dai tempi più remoti, sì che la sua storia e le sue forme coincidono in gran parte con quelle della musica stessa in generale. Il coro si dice monodico quando tutte le voci intonano la stessa melodia all'unisono o in ottava; in tal senso può essere anche detto omofonico, benché questo termine sia più spesso usato impropriamente per indicare un coro omoritmico, in cui le voci procedono parallelamente con eguale scansione di valori e di durata, a prescindere dalle singole melodie, che possono essere diverse. Si dice polifonico il coro le cui voci intonano melodie differenti, per lo più con ritmi anche diversi. Eterofonico è il coro praticato specialmente nella musica popolare, in quella dei popoli cosiddetti primitivi e in quella delle civiltà non europee: in esso le voci eseguono contemporaneamente la medesima melodia, con varianti melodiche e scarti di intonazione l'una rispetto all'altra. Coro parlato è quello in cui tutte le voci parlano o emettono meri fonemi. Un particolare effetto corale si ottiene intonando una melodia senza le parole, o a bocca chiusa (celebre esempio è il coro a bocca chiusa della Madama Butterfly di Puccini).

Il coro si dice a voci pari quando comprende esclusivamente voci maschili o femminili o di bambini, e viene rispettivamente distinto in coro maschile o virile, femminile, di voci bianche. Esso si dice invece a voci dispari o misto quando è formato da voci maschili e femminili o da voci maschili e di fanciulli e così via. Ai registri femminili e alle voci bianche appartennero in passato anche cantanti maschi, i cosiddetti contraltisti che cantavano in falsetto, e gli evirati o castrati, a loro volta distinti in sopranisti e contraltisti a seconda della estensione della loro voce. Le voci più acute sono quelle femminili, che si distinguono nei tre registri di soprano, mezzosoprano e contralto. Meno estese, ma acute come le femminili, sono le voci bianche, divise nei due registri di soprano e contralto. Infine le voci maschili si distinguono nei tre registri di tenore, baritono e basso. Tipiche della formazione corale sono però le voci di soprano, contralto, tenore e basso, mentre minor impiego trovano quelle di mezzosoprano e baritono. Un coro è detto a 1, 2, 3, 4, 5 voci ecc. non già in relazione al numero dei componenti, ma con riferimento al numero delle linee o parti di cui consta la composizione affidata alla esecuzione del complesso corale (ad esempio mottetto a 5 voci). Fin dai tempi antichi, la pratica corale si esercita nella forma innodica, come esecuzione collettiva unitaria, nella forma responsoriale, nella quale una parte collettiva si alterna, come risposta, a una parte solistica, e nella forma antifonale, dove l'insieme corale si divide in sezioni (per lo più due, dette semicori) che eseguono alternativamente. Dalla pratica antifonale venne alla tradizione occidentale la tecnica chiamata del doppio coro culminante nello stile policorale del coro battente o spezzato, caratterizzato dall'impiego di più cori dialoganti, generalmente con strumenti: questa forma è tipica delle composizioni sacre e profane del XVI secolo, soprattutto della musica veneziana (Willaert, Gabrieli) e dell'Italia settentrionale in genere. Dal Rinascimento è invalso inoltre l'uso di chiamare a cappella il coro di sole voci non accompagnate da strumenti e concertante il coro che si unisce ad un'esecuzione strumentale.

Il coro può rispondere ad una funzione sociale, specie nella musica popolare, come pratica integrante i vari atti e momenti di carattere religioso, civile, militare, ecc. della vita di una comunità, o come modo di intrattenimento collettivo e di partecipazione della collettività a fatti di importanza decisiva nell'esistenza di un individuo. Esso è generalmente espressione di sentimenti collettivi, ma può anche esprimere sentimenti individuali, come nel madrigale, o valere da commento epico o morale a un'azione, come avvenne nel coro della tragedia greca e, spesso, nell'oratorio. In quest'ultimo, in particolare, il coro può talvolta rappresentare la divinità stessa, ma più spesso dà voce ad una moltitudine ora intesa in senso universale o generico ora determinata in ordine all'azione configurata dal testo letterario. Nel melodramma, il coro rappresenta di solito determinate comunità o categorie di persone; altrove può anche rappresentare personaggi singoli, come in certi madrigali drammatici di Vecchi e Banchieri. In altre forme musicali, come le messe da concerto, il coro non svolge un ruolo scenico, ma viene utilizzato per i suoi puri valori musicali e costruttivi.

Con coro si intende anche un qualsiasi brano musicale per più voci, con o senza accompagnamento di strumenti. Esso può essere autonomo o far parte di una composizione più ampia, conservare un'articolazione fissa, come il coro della tragedia greca, osservare un certo schema formale, come quello della fuga in tante composizione sacre oratoriali, oppure essere di libera struttura.

Coro è definito pure il complesso vocale esecutore di musica corale. Il più comune è quello che si forma spontaneamente in ogni collettività quando essa eleva liberamente ma concordemente la propria voce scandendo parole o intonando canti in segno di giubilo o di dolore, o di volontà comune. Molte civiltà conoscono anche gruppi di esecutori specializzati, istruiti per volere dell'autorità religiosa, civile e militare e destinati a svolgere funzioni corrispondenti. Tali complessi hanno organizzazioni particolari e sono sottoposti di solito ad un capo. Così il coro greco era guidato da un corifeo, quello delle cappelle e delle chiese cristiane, istruito in un'apposita scuola detta Schola Cantorum, da cui deriva il suo stesso nome, era diretto da un primicerius; analogamente, il coro delle cappelle musicali delle chiese protestanti era guidato da un cantor. Il direttore di coro si disse in seguito, più comunemente, maestro di cappella se guidava il coro di una chiesa e maestro del coro se il complesso apparteneva invece ad un teatro o a un'istituzione concertistica. Fra il XII e il XIII secolo cominciarono a sorgere i primi tipi di libere associazioni corali, di cui offrono un esempio le confraternite laiche dei laudesi, che cantavano cori alla Vergine dopo le funzioni religiose: tali associazioni conobbero grande sviluppo, in tempi moderni, con il fiorire di società corali, per lo più alimentate da dilettanti, in tutti i paesi di cultura europea specie tedeschi e anglosassoni.

 


Chanson

(francese = canzone) termine usato nella storia della musica vocale francese per indicare vari tipi di composizioni, anche assai diverse tra loro. La prima forma di chanson fu il canto monodico dei trovatori e dei trovieri nell' XI-XIII sec. La chanson monodica si estese poi a tutto il XIV sec. assumendo il nome di cantilena, e fu caratterizzata dalla presenza di un accompagnamento strumentale. Contemporaneo allo sviluppo polifonico del mottetto, questo tipo di chanson introdotto da G. de Machault, nacque dalla subordinazione di alcune parti polifoniche (di solito due) a quella superiore e adottò varie forma fisse, in particolare quelle del rondeau e del virelai, forme che caratterizzano anche la chanson del XV secolo, coltivata da Dufay, da Binchois e dalla scuola borgognona. Verso la fine del XV secolo cominciò a delinearsi la chanson polifonica propriamente detta, che conobbe una diffusione europea; scrissero chansons polifoniche i maggiori maestri fiamminghi, da Ockeghem a Josquin Despres. Non più legata a forme fisse, essa presentò, analogamente al mottetto, una scrittura polifonica imitativa, con una certa predilezione per l'omofonia, e tese ad assecondare il ritmo del verso. Un aspetto particolare della chanson polifonica è costituito dal gusto per la descrizione, di cui offrono esempi le composizioni di C.Janequin evocanti battaglie, il canto degli uccelli, la caccia, ecc.

Con quest'autore e con i compositori contemporanei la chanson assunse un carattere brillante, di raffinata eleganza. Nella seconda metà del secolo XVI l'influsso del madrigale italiano fu particolarmente evidente, nelle chanson di Orlando di Lasso. Verso la fine del secolo, grazie anche all'influenza di Ronsard, dei poeti della Pléiade e dell'accademia fondata da J.A. Baif, si mirò a conseguire un più stretto rapporto tra musica e testo ed una maggiore intelligibilità delle parole, tentando inoltre di riprodurre l'andamento della metrica classica. L'affermarsi dello stile sillabico (una nota per ogni sillaba) e omofonico (tutte le voci procedono parallelamente con eguali ritmi) preluse all'avvento della monodia accompagnata, che si compì con l'art de cour e portò quasi d'improvviso all'estinzione della chanson come genere colto, favorendo lo sviluppo di una chanson dalle caratteristiche più semplici e popolareggianti, conservate anche XVII e XVIII secolo. Nella seconda metà del XIX secolo la chanson contribuì alla fortuna del caffè-concerto (fu allora chiamata anche chanson de variétés) e dell'operetta, e verso la fine del secolo raggiunse un alto livello grazie a interpreti (chansonniers) quali A.Bruant e Y.Guilbert. Nel medesimo tempo si assistette al risorgere della chanson monodica colta e di quella polifonica ad opera di Fauré, Debussy e Ravel. Dal canto suo la chanson popolare continua a mantenere, anche ai giorni nostri, una dignità artistica che la distingue nettamente da altri tipi di canzone europea.

 


Fantasia

Composizione musicale di forma assai libera, nata nel '500 e in origine destinata a strumenti a tastiera o a pizzico. Nel '500 il termine indicò sia un pezzo di carattere brillante, improvvisato a mo' di preludio, sia un brano liberamente imitativo, analogo al ricercare. Diffusa inizialmente nella seconda forma soprattutto in Italia e in Spagna, la fantasia si propagò in altri paesi e venne eseguita anche da strumenti a fiato e ad arco, sia solistici sia in complesso. La fantasia venne gradualmente trasformandosi: perdute le caratteristiche tematiche ed essenzialmente imitative degli inizi, acquistò via via il carattere di pezzo del tutto libero formalmente, in cui si alternano passi armonici non imitativi, cioè omofonici, e passi virtuosistici, in stile recitativo. Scrissero fantasie di questo tipo Frescobaldi, Purcell (per complesso d'archi), Bach, Telemann, Mozart, Beethoven e infine molti compositori romantici. Nel secolo scorso ebbe notevole voga la fantasia - per lo più per pianoforte - sia su temi originali sia su melodie popolari o su temi trattati da composizioni (o anche da opre teatrali) di altri autori (in particolare si ricordano la fantasie, o parafrasi, di Liszt). In questa accezione il termine è tuttora usato in Italia per indicare le suites di melodie selezionate dalle più popolari opere liriche, in uso nei concerti bandistici.

 


Frottola

Forma di musica polifonica a quattro voci, parallela all'omonima forma letteraria, diffusasi in Italia tra la fine del '400 e l'inizio del '500. Fu poi soppiantata da altre forme, in particolare dal madrigale. Di origine popolare, aveva in genere contenuto amoroso ed era caratterizzata da un andamento compatto delle voci che cominciavano e terminavano per lo più insieme nell'ambito del metro poetico, non alieno tuttavia da intrecci contrappuntistici e da occasionali imitazioni; particolare rilievo melodico era conferito alla parte del soprano, tanto che la frottola poteva darsi anche nella forma di canto monodico accompagnato da strumenti. Dal punto di vista metrico, la frottola aveva la forma della ballata, con versi ottonari, meno di frequente quella di strofe di quartine e di settenari. Trai maggiori compositori di frottole: M. Cara,J. Desprès, M. Pesenti. 

 


Madrigale

Termine di origine incerta (se ne suggerisce la derivazione da mandriale, in relazione al soggetto pastorale dei primi madrigali, oppure da matricale, cioè "nella lingua madre") indicante due forme musicali nettamente distinte tra loro; la prima fiorita nel XIV secolo, la seconda nel XVI secolo.

Nella prima accezione, il madrigale è una delle forme poetico-musicali della Ars Nova italiana, come le altre composizioni di questa scuola (la ballata e la caccia), è uno dei primi esempi di musica polifonica profana, e veniva eseguito, come testimoniano le fonti, in liete riunioni di giovani, nelle case signorili o all'aria aperta. Il soggetto era amoroso-pastorale; la musica era a due, raramente a tre voci. Poiché la voce superiore (superius) presenta maggiore interesse, si pensa che il madrigale venisse eseguito da una voce con accompagnamento di uno o due strumenti. Ma è frequente il caso di madrigali per due parti vocali e talvolta anche per due parti strumentali. Il madrigale è strofico (la stessa musica viene ripetuta per ogni strofa); tra una strofa e l'altra si colloca il refrain (breve fra se musicale che si ripete sempre con le stesse parole). Tra le forme dell'Ars Nova, il madrigale è quella che meglio realizza l'ideale di eletta semplicità propria della borghesia fiorentina.

Nella seconda accezione il termine cominciò ad essere usato intorno al 1530 per indicare componimenti musicali molto simili alla frottola. Come la frottola il madrigale di quegli anni è per lo più a quattro voci, con prevalenza della voce superiore e uso della scrittura isoritmica. A differenza della frottola, tuttavia, esso, sin dall'inizio, non è già più strofico, e ciò consente una maggiore aderenza della musica al significato delle parole. I primi madrigali furono composti da autori fiamminghi, tra cui Ph. Verdelot, A. Willaert e J. Arcadelt. Intorno al 1550, il madrigale tende a recepire la dignità di scrittura che, fino ad allora, era stata propria solo della musica sacra. Il numero delle voci sale a cinque ( o anche più), l'isoritmia viene progressivamente abbandonata per la polifonia, e viene quindi a cadere il predominio costante della voce superiore. In questo senso il madrigale assomiglia, per la scrittura initativa e anche per il procedere a sezioni, al contemporaneo mottetto; non è un caso che i maggiori autori di madrigali in questo stile siano gli stessi autori di musica sacra operanti dopo la metà del secolo, come C. De Rore, G. Parabosco, G. Animuccia e P. da Palestrina. Verso la fine del secolo, il madrigale incarna di più di ogni altra forma le esigenze di sentimentalità e di espressione degli "affetti" che caratterizzano il tardo Rinascimento. Il madrigale diviene cromatico, sia nel senso che introduce molte note nere (cioè colorate) e quindi passaggi più rapidi, sia nel senso che introduce il cromatismo melodico e armonico e numerose dissonanze, talvolta molto aspre, per meglio esprimere i sentimenti di dolore contenuti nei testi prediletti del Tasso e del Guarino. Nello stesso tempo, la musica si sforza di aderire in modo capillare alle immagini del testo poetico, cercandone la traduzione in musica attraverso una complessa simbologia; nasce il gusto per i cosiddetti madrigalismi. I maggiori autori di madrigali in questo stile, affermatosi verso la fine del secolo, sono L. Marenzio, G. da Venosa e, nelle sue prime raccolte, C. Monteverdi. Agli inizi del XVII secolo l'esigenza espressiva approda a una nuova scrittura, la monodia accompagnata, in cui la voce superiore raccoglie tutta l'espressività, sia amplificando le inflessioni discorsive (invocazione, domanda, ecc.), sia cercando di significare i sentimenti nella loro varietà; le altre voci si mantengono in secondo piano e vengono riassunte nel basso continuo, ove svolgono solo la funzione armonica di sostegno. Nasce quindi il madrigale a una, due o più voci con basso continuo, i cui massimi esempi sono dati da Monteverdi nei libri VI, VII e VIII dei suoi madrigali (dal 1610 al 1632): a sostegno delle voci soliste intervengono gli strumenti; Monteverdi stesso chiamò questi madrigali concertati, cioè intrecciati di voci e strumenti. Dalla fine del '500 ai primi decenni del '600 fiorì anche un altro tipo di madrigale, detto rappresentativo, ma in realtà non destinato alla scena: il testo è drammatico (dialogo, personaggi e azione immaginata), e tutto l'intreccio polifonico incarna ora questo ora quel personaggio. Gli autori più celebrati di questo genere sono O. Vecchi, G. Croce, A. Striggio, A. Banchieri.

Se si esclude il madrigale rappresentativo, che incarna un gusto popolaresco e spesso grottesco, il madrigale espresse nei suoi vari stili i più aristocratici ideali del Rinascimento musicale, sia per la raffinatezza dei testi poetici, sia per l'elaborazione della scrittura, sia per l'intimo impegno dell'espressione. Eseguito da pochi solisti che si sedevano "a tavolino", ognuno leggendo la propria parte sui libretti, il madrigale non era destinato all'ascolto nelle grandi sale, ma veniva eseguito per il piacere di chi cantava e di pochi eletti ascoltatori; il carattere elitario del madrigale, soprattutto nella sua estrema fioritura, fu avvertito già dai contemporanei, che lo definirono anche musica reservata.

 


Monodia

Canto ad una voce senza accompagnamento, praticato in gran parte della musica popolare nell'antichità e nel Medioevo; si contrappone alla polifonia. Dal secolo XVI in poi si disse monodia il canto ad una voce con accompagnamento strumentale anche elaborato, e stile monodico la sua pratica, sempre in contrapposizione a stile polifonico.

 


Mottetto

Forma musicale polifonica vocale o vocale-strumentale. Sviluppatosi in un vastissimo arco di tempo, dal secolo XIII ai giorni nostri, il mottetto ha assunto via via aspetti diverso, riconducibili a dei "tipi" fondamentali:

Mottetto antico. È la forma più importante del medioevo europeo e affonda le sue radici nel repertorio di Notre-Dame, derivando in linea diretta dalle clausolae dell'organum di Perotino e della sua scuola; ma trova la sua prima organizzazione come forma autonoma soltanto attorno alla metà del secolo XIII, cioè nella fase più matura dell'Ars antiqua. In un primo tempo si sviluppò sulle parti della liturgia che potevano essere trattate polifonicamente, aggiungendo a frammenti di gregoriano (tenor) una o due voci (rispettivamente motetus e triplum) che cantavano una sorta di commento al testo del tenor su melodie nuove. In seguito, le voci superiori cominciano a presentare testi d'argomento amoroso o conviviale, assolutamente indipendenti dall'argomento liturgico del tenor che le sostiene e spesso diversi nel motetum e nel triplum (mottetto politestuale), mentre il tenor può venire eseguito da strumenti. Il codice di Montpellier è una delle fonti più importanti per la conoscenza del mottetto dei secoli XIII e XIV, la cui produzione è ancora largamente anonima. Nel periodo dell'Ars nova il mottetto è una composizione a sé stante, impensabile nell'ambito della liturgia e basato esclusivamente su leggi di natura musicale: prima fra tutte la tecnica dell'isoritmia, applicata in maniera rigorosa da Philippe de Vitry e da Guillaume de Machault (mottetto isoritmico).

Mottetto fiammingo. Nel mottetto quattrocentesco di scuola franco-fiamminga si può chiaramente osservare il processo di trasformazione del contrappunto dalle tecniche asrnovistiche allo stile rinascimentale. Le linee lungo le quali si attua questa trasformazione conducono alla graduale scomparsa della politestualità e del tenor gregoriano. Dunstable e Dufay si mantengono ancora sostanzialmente fedeli alle formule del mottetto isoritmico, ma le infrangono con grande libertà per dare spazio ad un più ampio sviluppo e ad una più raffinata elaborazione delle varie voci. Perfino il tenor gregoriano, che Dufay pone spesso nella voce superiore, viene arricchito di fioriture e immesso nel gioco contrappuntistico alla pari con le altre voci. Accanto a mottetti religiosi con testo tratto dall'Ordinarium Missae o dal Magnificat, il '400 vede la fioritura di mottetti legati a occasioni solenni (Festmotette: ad esempio il Nuper rosarum scritto da Dufay per la consacrazione del duomo di Firenze) e ad una religiosità laica domestica (Liedmotette: ad esempio Quam pulchra es di Dunstable) . Fra i compositori fiamminghi della generazione successiva, Obrecht e Josquin  Despres trovarono nel mottetto la forma più adatta all'espressione del loro ideale artistico.

Mottetto rinascimentale. Nel '500 il mottetto elabora il modello di tradizione fiamminga nel senso di una graduale semplificazione del contrappunto e di una maggiore aderenza al significato del testo. I testi scelti da Orlando di Lasso sono per lo più caratterizzati da un taglio umano-drammatico, che gli suggerisce le tecniche compositive più varie; quelli di Palestrina sono invece prevalentemente di tipo mistico-simbolico, consentendo al compositore un maggiore distacco dalla materia trattata e quindi una più completa aderenza alla sua poetica. Nella produzione di scuola veneziana , e specialmente in quella di Andrea e Giovanni Gabrieli, il mottetto fiorisce e si moltiplica, diventa canzone, concerto, sinfonia, mentre al timbro delle voci si aggiunge la ricca gamma dei colori strumentali.

Mottetto moderno. Dal 1600 in poi il mottetto si sviluppa secondo due linee divergenti: da una parte si tende a conservare la tradizione palestriniana in opere di severo contrappunto vocale (per esempio lo "stile osservato" della scuola bolognese del secolo XVIII, facente capo a padre Martini); dall'altra si elaborano nuove forme che calano il tema religioso nel vivo del linguaggio musicale del tempo. Nascono così i "mottetti concertati" del barocco italiano (Monteverdi, Cavalli), i mottetti-cantata di J.S. Bach, il "gran mottetto" della scuola di Versailles (M.A. Charpentier, J.P.Rameau, F.Couperin). Ormai il mottetto ha perso ogni riferimento formale alle sue origini ed è divenuto un termine con quale si può indicare qualsiasi composizione sacra non appartenente al ciclo della messa.

 


Rispetto

Forma poetico-musicale italiana affine allo strambotto, di origine popolare, particolarmente diffusa in Toscana; il soggetto è prevalentemente amoroso, la musica utilizza melodie popolari. Nel '400 il rispetto venne coltivato anche da letterati, che ne fissarono lo schema.

 


Song

Termine inglese che indica una breve composizione a carattere lirico per voce sola, solitamente accompagnata da uno strumento, come la romanza italiana, la chanson francese, il Lied tedesco. Il genere fu coltivato dai maggiori compositori inglesi dal '500 ad oggi. Nella stessa forma si sviluppò il song popolare.

 


Strambotto

Forma polifonica profana, tipica del '400 italiano. È una delle forme collaterali della frottola, di cui condivide la scrittura musicale (prevalenza della voce superiore, accompagnamento accordale) e il raro equilibrio tra cordialità popolaresca e raffinatezza cortigiana. Lo strambotto è composto in genere da una ottava di endecasillabi, in cui la melodia dei primi due versi viene ripetuta per i tre distici seguenti. Si dà anche il caso di una variante melodica sull'ultimo distico.

 


Villancico

Composizione poetico-musicale spagnola, diffusa anche in Portogallo e nell'America latine. Di origine medioevale e prevalentemente polifonico, si uniformò nel Rinascimento - quando ebbe larga diffusione nelle corti pur conservando una matrice popolare - divenendo monodico e simile al virelai francese, secondo una struttura costituita da diverse strofe (coplas) intercalate da un ritornello (estribillo). Dal XVII secolo il villancico subì ulteriori modificazioni e, adottando testi religiosi, finì per identificarsi con un tipo di cantata sacra in più parti, per soli, coro e strumenti.


 

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